La storia del beatmaking Hip Hop e Trap

da Storia e curiosità

La nascita del beatmaking

La nascita del beatmaking hip hop risale agli anni ’70 quando, negli Stati Uniti d’America, i block party (ovvero le feste di quartiere) divennero sempre più popolari, specialmente nel quartiere del Bronx, a New York. I DJ del periodo, tra cui Kool Herch, Afrika Bambaataa e Grandmaster Flash, utilizzavano la loro strumentazione, composta da due giradischi e un mixer, per creare dei loop e dei break percussivi (ovvero sezioni della canzone messe “in ripetizione”) con i dischi a loro disposizione. Questa nuova metodologia di creare musica, insieme ad altre tecniche tipiche del djing come lo scratching, il cutting ed il mixing, diede vita al processo creativo che portò alla nascita del beatmaking hip hop come lo conosciamo ai giorni nostri. La vera svolta tuttavia si ebbe nel decennio successivo, quando la Roland lanciò sul mercato la più iconica drum machine di sempre la Roland TR-808.

 


Gli anni ’80: la nascita delle drum machine e di un nuovo modo di fare musica

 

La rivoluzione della Roland TR-808

La nascita delle drum machine cambiò totalmente il modo di fare musica negli ambienti black in cui nacque l’hip hop. La Roland TR-808, in particolare, era piuttosto economica rispetto alla Linn LM-1(tra le prime drum machine immesse sul mercato), dunque si diffuse maggiormente. La caratteristica che le permise di fare la differenza fu la sua programmabilità: permetteva infatti al beatmaker di creare sequenze ritmiche personalizzate mediante l’utilizzo di suoni sintetizzati dalla macchina stessa (e non samples pre-registrati). I suoi suoni “crudi” e sintetici non ne fecero la fortuna al momento della sua uscita, ma la resero negli anni a venire uno strumento iconico, ricercato da appassionati e collezionisti di tutto il mondo. Parte di questo successo postumo fu anche dovuto all’innumerevole numero di hit song prodotte utilizzando i suoni 808.

 

Afrika Bambata e la nascita dell’Electro-Funk

Fu il DJ e produttore Afrika Bambaataa uno dei primi artisti a produrre una canzone di successo con la Roland TR-808: si tratta di Planet Rock, singolo del 1982 che divenne rapidamente una hit underground in Canada, Stati Uniti e Regno Unito. Grazie a questo brano Afrika Bambaataa si guadagnò il nominativo di padre dell’ Electro-Funk: la canzone infatti, prodotta mediante l’utilizzo di batterie composte con la TR-808 e campionamenti provenienti dal brano “Trans Europe Express” di Kraftwerk, cambiò il modo di intendere la produzione musicale hip hop e dance, vennero “miscelati” suoni ritmici elettronici a campioni di musica “classica” (funk, jazz etc.).

 


La fusione tra rock e hip hop: i Beastie Boys e i Run DMC

Artisti hip hop che al pari di Afrika Bambata sfruttarono le potenzialità delle della Roland TR-808 furono i Beastie Boys, nati come band punk rock ma indirizzati verso l’hip hop dal noto produttore discografico Rick Rubin. Fu in particolare il loro album “License to Ill” che lasciò un segno nella storia del rap e del beatmaking: questo album (rilasciato nel 1986), è considerato il precursore del rap metal, in quanto le produzioni sono composte, oltre che dall’utilizzo della 808, anche da elementi tipici della musica rock, come i riff di chitarra elettrica, suonati dal chitarrista degli Slayer Kerry King. Il genere rap rock si diffonderà durante tutta la seconda metà degli anni ’80, e influenzerà altri importanti gruppi hip hop, come i Run DMC, che sempre nel 1986 riproporranno il celebre singolo della band metal Aerosmith “Walk This Way” in chiave Hip Hop, contribuendo anche loro alla diffusione di questo nuovo genere.

 

La nascita degli MPC e l’alba del digitale

Nel 1988 nacque, frutto di una collaborazione tra la casa giapponese Akai e Roger Linn, l’MPC60: si trattava di un vero e proprio strumento di produzione musicale, capace di campionare/registrare suoni, dotato di 16 pads sensibili al tocco. Grazie al sequencer MIDI integrato i beatmakers poterono programmare “a mano” pattern ritmici e melodici campionati. Questo nuovo modo di produrre musica fu una vera e propria rivoluzione nel mondo del beatmaking: l’MPC60 e i successivi modelli divennero presto popolari nella comunità di produttori hip hop per il loro carattere e groove che conferivano alle produzioni. Linn integrò infatti la funzione di swing, ovvero un leggero sfalsamento temporale del suono quantizzato, che rendeva il pattern più movimentato e scorrevole. I primi programmi per realizzare musica con dei computer furono immessi nel mercato sul finire degli anni 80′ dalle case produttrici Digidesign, che creò Pro Tools, e da Steinberg, che invece produsse Cubase.

 


Il Beatmaking Hip Hop nel nuovo millennio: gli anni 2000

 

Dr. Dre protagonista

Dopo l’esperienza nel collettivo N.W.A come rapper e produttore, Dr.Dre si dedicò alla realizzazione di album come solista e alla cura di dischi per conto terzi come scrittore, compositore e tecnico del suono. Produsse Eminem e altri artisti tra cui 50 Cent: Il 6 febbraio 2003 venne rilasciato “Get Rich or Die Tryin’”, l’album di debutto di 50 Cent che fece del rapper di New York una star internazionale. Parte di questo successo va sicuramente attribuito a Dr. Dre, produttore dell’album insieme a Sean Blaze, DJ Quik, Eminem etc. le tecniche di produzione adottate per la maggiore in questo disco furono un misto tra il campionamento classico e la registrazione di strumenti musicali veri, praticamente una fusione tra le tradizione di beatmaking east coast e west coast anni novanta. Il singolo di maggior successo dell’album fu “In da Club”, esempio perfetto di come la collaborazione tra produttori professionali possa dar vita a brani impeccabili: fu prodotta infatti da Dre in collaborazione con Mike Elizondo, che si occupò dei bassi, e con DJ Quik, che arrangiò invece le batterie.

 

Un’inversione di tendenza: il campionamento soul

Un altro album considerato un classico degli anni duemila è “The Blueprint di Jay-Z“, il sesto album in studio del rapper di NY, rilasciato l’11 settembre 2001. Le produzioni di questo disco sono affidate a Kanye West e Just Blaze, che grazie al loro lavoro verranno riconosciuti come importanti beatmakers anche nella fascia mainstream del mercato discografico americano. In questo caso, possiamo parlare in pieno di tradizione east coast per quanto riguarda la produzione, con tuttavia una importante novità: i campionamenti presenti nelle strumentali sono infatti di origine soul, in particolare degli anni settanta. Lo stile “atmosferico” del disco conferitogli da questo tipo di campioni fu molto apprezzato e imitato, tanto da segnare una svolta nel mondo del beatmaking dell’epoca: si tornò agli albori quando il campionamento era la tecnica più utilizzata per produrre basi hip hop, nonostante furono emanate nuove leggi che difendevano il copyright e sanzionavano, anche pesantemente, l’uso “illecito” di samples non autorizzati.

 


L’Hip Pop di Timbaland e dei Neptunes

 

Nonostante il ritorno in voga del campionamento, gli anni 2000 furono caratterizzati da un’enormità di produzioni più “suonate”; questo portò inevitabilmente ad una fusione del rap con la cultura e soprattutto con la musica pop. Artisti di spicco in questo senso sono sicuramente Timbaland e i The Neptunes, gruppo formato da Chad Hugo e Pharrel Williams, che hanno collaborato con star del pop e dell’RnB come Britney Spears, Kelis, Justin Timberlake e Nelly Furtado. Il loro sound era decisamente innovativo, caratterizzato dalla presenza di elementi inusuali fino a quel momento nel beatmaking hip hop: nelle loro produzioni si riscontra spesso l’utilizzo di melodie mediorientali, percussioni esotiche ed effetti bizzarri, come nel famosissimo brano di Snoop Dogg “Drop it Like It’s Hot”, dove utilizzano il suono di una bomboletta spray come strumento principale.

Altro merito importante del membro dei Neptunes Pharrel Williams fu quello di portare la figura del beatmaker sotto i riflettori, specialmente grazie alle sue frequenti apparizioni nei video dei brani da lui prodotti e alla sua figura di rapper. Nonostante ciò, il ruolo del produttore verrà realmente valorizzato solo nel decennio successivo, con l’avvento del genere trap e l’introduzione del cosiddetto producer tag.

 


Il Beatmaking ai giorni nostri: l’avvento della trap e la nuova figura del produttore

 

Le origini della Trap moderna: il Dirty South

Così come la costa est e quella ovest, anche il sud degli Stati Uniti aveva il suo modo originale di fare e produrre musica rap. Il Southern Hip Hop, anche conosciuto come Dirty South, è un sottogenere più moderno dell’east coast e west coast rap, formatosi verso la fine degli anni ottanta, che ha cominciato a ottenere visibilità grazie a gruppi come i Geto Boys e i 2 Live Crew. Tuttavia, il genere prende realmente forma e si caratterizza come sottogenere a sé stante all’inizio del nuovo millennio, quando, grazie a nomi come T.I., Lil Jon, Young Jeezy e Ludacris si afferma a livello commerciale, raggiungendo l’apice nella prima metà degli anni duemila. Il dirty south è caratterizzato da un ritmo più “saltellante” (rende bene l’idea il termine americano bouncy), e da un’atmosfera più da club, sia a livello testuale che strumentale: i testi sono infatti spesso piuttosto frivoli e festaioli, e i beat sono caratterizzati da una particolare enfasi della bassline e dall’utilizzo dei sintetizzatori a scapito del campionamento, oltre che da un massiccio utilizzo della TR-808. Queste caratteristiche vengono riprese nell’evoluzione attuale del genere, ovvero la trap, che si è oramai affermata come stile standard del genere rap.

 

La trap odierna: le sue caratteristiche e i suoi protagonisti

La nascita della trap come sottogenere a sé stante viene solitamente fatta coincidere con l’uscita del secondo album in studio del rapper T.I., Trap Muzik, nel 2003. Altro pioniere del genere risulta essere Gucci Mane, che debuttò nel 2005 con il suo album Trap House. Da allora, lo stile trap si è evoluto fino ad arrivare ai canoni attuali, fondati su alcune caratteristiche piuttosto riconoscibili, in primis la particolare importanza e centralità conferita ai bassi: l’elemento più caratteristico del genere è sicuramente la così chiamata (impropriamente) “808”, ovvero un basso sintetizzato solitamente a partire da una sine wave più o meno distorta che riprende il suono dei kick programmati nella iconica drum machine Roland TR-808 (da qui il nome). Un esempio lampante della centralità della 808 in una produzione moderna è il brano “I Get the Bag” di Gucci Mane in collaborazione con i Migos, prodotto da Metro Boomin, caratterizzato da un arrangiamento melodico minimale (in pieno stile del produttore in questione) che lascia ampio spazio al basso a dir poco enorme, che riempie e dà “spinta” alla traccia. Un altro elemento quasi onnipresente nelle strumentali del genere sono i “roll”, sia di hi-hats che di snare, ottenuti tramite la programmazione in sedicesimi o trentaduesimi, se non addirittura in sessantaquattresimi; un caso interessante di tale uso negli hi-hats si trova nel brano “Swimming Pools (Drank)” di Kendrick Lamar, dove vengono alternati hats “regolari” nella strofa a hats rullati che movimentano la sezione del ritornello. Per quanto riguarda la parte melodica, invece, molto dipende dal mood della traccia: per i brani più “happy” solitamente si tratta di una melodia semplice ed orecchiabile, mentre per quelli più malinconici, scuri o aggressivi possono essere utilizzati vari espedienti, tra cui, oltre che nuovamente una melodia semplice ma più “minacciosa” (magari suonata in scala minore), campionamenti (emblematico quello del requiem di Mozart in Lord Knows, brano di Meek Mill e Tory Lanez prodotto da Play Picasso) o suoni atmosferici/orchestrali utilizzati in maniera “cinematica”.

La trap ha anche il merito di essere stata la culla del “producer tag”, ovvero la tendenza, da parte del produttore di inserire nel brano un tag vocale che lo caratterizzi e lo renda riconoscibile, mediante il suo inserimento in tutti (o quasi) i brani da lui prodotti: una sorta di firma che rende giustizia al lavoro e al merito che ha il beatmaker nella buona riuscita del brano.

 


L’evoluzione delle DAW e del concetto di produzione musicale: la nuova figura del producer hip hop

Dalla loro nascita nel lontano 1989, le Digital Audio Workstation, ovvero i software che si utilizzano per produrre musica, hanno fatto dei veri e propri passi da gigante, grazie soprattutto alle innovazioni tecnologiche degli ultimi decenni. Oltre alle pioniere Cubase e Pro Tools, sono oggi disponibili sul mercato molte altre DAW altrettanto valide, tra cui Logic, Ableton, Studio One e Reaper. Grazie alla tecnologia VST e agli innumerevoli plug-in presenti in commercio, i software di produzione musicale attuali sono in grado di fornire un arsenario completo per produrre tracce a livello professionale; l’hardware analogico, un tempo indispensabile, viene oggi emulato in maniera molto precisa, rendendolo di fatto un optional: tutto ciò che serve per produrre musica di livello è un computer, una DAW, un paio di casse monitor e una scheda audio. MPC, tastiere MIDI e outboard analogici arricchiscono e rendono anche sicuramente più divertenti le sessioni di produzione e mixaggio, ma grazie al livello di tecnologia raggiunto oggigiorno non sono più indispensabili come una volta. Questo ha portato a una sorta di “democratizzazione” del ruolo del produttore: chiunque possieda questa strumentazione minima (e sia capace di farlo ovviamente..il know-how rimane, e probabilmente rimarrà sempre, il requisito numero uno), può dedicarsi alla produzione di musica hip hop a livello professionale.

 

×